Psicologia investitore

Psicologia Investimenti

Da alcuni decenni si assiste ad un crescente interesse da parte della psicologia verso i fenomeni economici (Rumiati e Mistri, 1998). Questo crescente interesse ha riguardato diversi aspetti del comportamento economico tra cui le decisioni d'acquisto dei consumatori (Huber, Payne e Puto 1982; Highhouse, 1996), le decisioni strategiche dei manager (Arkes e Blumer, 1985; Thaler 1985; Garland e Davenport, 1991) ed il comportamento degli investitori all'interno dei mercati finanziari (Thaler, 1993; Shefrin, 1999; Shiller, 2000). Alla base di questi studi c'è la consapevolezza maturata, non solo dalla psicologia, dell'inadeguatezza dei modelli della razionalità economica. Diversi risultati sperimentali hanno evidenziato come gli individui non agiscono seguendo i principi economici razionali ma sono influenzati dalle loro esperienze passate, delle loro credenze, dal contesto, dal formato di presentazione delle informazioni e dall'incompletezza informativa frequente nei contesti reali (Kahneman e Tversky, 2000). Una possibile spiegazione fa riferimento al fatto che gli individui avrebbero delle risorse cognitive limitate che in molte occasioni li costringono a semplificare lo spazio del problema che sarebbe altrimenti ingestibile perché eccessivamente complesso (Simon, 1982). Un'altra spiegazione fa invece riferimento al fatto che le scelte delle persone sembrano essere governate da atteggiamenti e valutazioni affettive piuttosto che da preferenze economiche basate sul calcolo dell'utilità attesa (Kahneman, Ritov e Schkade, 1999). Gli atteggiamenti sono definiti come tendenze soggettive espresse attraverso la valutazione favorevole o sfavorevole di un particolare stimolo (Eagly e Chaiken, 1996). L'aspetto centrale di questa spiegazione alternativa del mancato rispetto dei principi razionali è che la valutazione degli stimoli non è compiuta secondo delle norme di tipo matematico ma è volta ad assegnare agli oggetti un valore affettivo che può variare da molto positivo a molto negativo. Questi riflessioni giustificano la sempre maggiore attenzione che la psicologia dedica ai mercati finanziari verso i quali c'è anche un grande interesse da parte dei mass media visto l'aumento delle persone che investono in borsa. Quello dei mercati finanziari è uno dei settori economici in cui maggiormente si evidenzia la mancanza di razionalità tanto è vero che il loro andamento è spesso descritto utilizzando termini come euforia, depressione, disillusione o addirittura irrazionalità (Shiller, 2000). Lo studio del comportamento dell'investitore quindi nasce dal bisogno di risolvere la discrepanza tra un contesto teorico-normativo razionale ed un agire reale che appare poco ancorato ai canoni della razionalità. Come sostiene Slovic (1972) pochi settori dell'attività umana sono contraddistinti da una quantità di informazioni eguale a quella presente nei mercati finanziari; questo ampio numero di informazioni deve essere messo assieme e soppesato ogni qualvolta si prende una decisione sia essa volta a vendere o sia essa volta a comprare dei titoli. Inoltre la difficoltà ad utilizzare in modo proficuo l'ampio numero di informazioni disponibili è certamente aumentata con l'avvento delle moderne tecnologie le quali rendono prontamente disponibile ogni tipo di informazione riguardo all'andamento dei mercati finanziari di tutto il mondo. Se da un lato è vero che maggiore è l'informazione disponibile e maggiore è l'accuratezza con cui si può valutare le alternative di scelta dall'altro lato è altrettanto vero che troppe informazioni rendono lo spazio decisionale ingestibile. In questo senso troppa poca attenzione è stata data fino ad ora al modo in cui le informazioni sono gestite ed interpretate da chi si occupa di mercati finanziari e di investimento. Infatti è ormai un dato di fatto che il comportamento di analisti, consulenti finanziari ed investitori sia costellato da quelle che nel modello della scelta razionale sono considerate delle anomalie decisionali ma che vista la loro diffusione non possono essere considerate tali. La psicologia dei mercati finanziari (o behavioral finance) è un settore della psicologia che tenta di spiegare il modo in cui gli individui utilizzano le informazioni per prendere le loro decisioni nei mercati finanziari. Quali fattori influenzano le previsioni dell'andamento del mercato negli investitori non esperti? Perché gli investitori decidono di investire su determinate attività finanziarie piuttosto che su altre? Perché gli investitori scelgono di assumersi determinati rischi per raggiungere i loro obiettivi di investimento? Quali differenze ci sono tra il comportamento di investitori esperti e non esperti? Queste sono solo alcune delle domande alle quali la psicologia dei mercati finanziari cerca di rispondere. In questo contributo di revisione di quanto prodotto dalla psicologia dei mercati finanziari ci si soffermerà inizialmente sui due modelli teorici di riferimento e cioè il modello dell'Utilità Attesa (von Neumann e Morgenstern,1947) e la Teoria del Prospetto (Kahneman e Tversky, 1979; 2000). Successivamente verranno analizzate le distorsioni cognitive che influenzano le decisioni ed i giudizi di chi investe, la percezione del rischio da parte degli investitori ed infine le dinamiche sociali e di diffusione delle informazioni che sembrano caratterizzare i mercati.

Teoria della decisione classica

Con la formula "teoria della decisione classica" si identificano solitamente i modelli relativi alla presa di decisione nati nell'ambito di discipline quali l'economia e la statistica e che riflettono i punti salienti della prospettiva economica. Si tratta di teorie normative basate su modelli di tipo matematico. Fondamentale per questi modelli è l'assunzione della razionalità alla base dei comportamenti degli individui. Nel campo della presa di decisione in condizioni di incertezza il modello razionale più rilevante è costituito dalla Teoria dell'Utilità Attesa (Expected Utility Theory) proposta inizialmente da von Neumann e Morgenstern (1947). Questa teoria prevede che le decisioni degli agenti economici si conformino ad una funzione dell'utilità attesa dei risultati. In pratica gli individui dovrebbero scegliere sempre le alternative che offrono loro l'utilità più elevata, cioè le alternative che in assoluto offrono i guadagni più elevati o le perdite più basse. Questa teoria ha avuto grande successo poiché rende molto semplice la modellizzazione matematica del processo decisionale anche se trascura alcune importanti variabili implicate nel processo di decisione come ad esempio la complessità del compito, la valutazione affettiva delle alternative di scelta e i limiti delle risorse cognitive dell'individuo. La teoria dell'utilità attesa poggia su alcuni assiomi grazie ai quali la logica sottostante al comportamento decisionale risulta molto semplificata. Tra gli assiomi principali vi sono quello della transitività, quello della dominanza e quello della invarianza. Lo studio psicologico dei processi di giudizio e di decisione tuttavia ha messo in evidenza diversi casi in cui i decisori reali agiscono in modo tale da violare gli assiomi della teoria dell'utilità attesa (si vedano Tversky, 1969; Kahneman e Tversky, 1979; Tversky e Kahneman, 1981)

Teoria del Prospetto

Sul fronte dello studio psicologico della decisione la teoria che ha avuto il maggiore impatto è stata certamente la Teoria del Prospetto (Prospect Theory) proposta da Kahneman e Tversky (1979; 2000). Si tratta di un modello il cui obbiettivo è quello di descrivere in modo migliore il comportamento reale delle persone. La teoria del prospetto poggia sulla constatazione che gli individui sembrano valutare ogni possibile esito di una decisione sulla base di un punto di riferimento (o status quo) quale può essere per esempio la loro situazione al momento della decisione. La constatazione dell'esistenza di un punto di riferimento è molto rilevante perché attorno ad esso ruotano alcune importanti conclusioni della teoria. Per esempio secondo Kahneman e Tversky la funzione di valore in base alla quale gli individui valutano i possibili spostamenti dal punto di riferimento sarebbe concava nel caso dei guadagni e convessa nel caso delle perdite. Questo spiegherebbe il motivo per cui gli individui si comportano in modo differente quando sono messi di fronte a possibili guadagni o a possibili perdite; nel primo caso sono avversi al rischio mentre nel caso di possibili perdite sono propensi ad assumersi dei rischi. È evidente la rilevanza di simili strategie di comportamento per chi studia le decisioni degli investitori. La teoria del prospetto assegna grande importanza al modo in cui viene interpretato il problema decisionale dal momento che le evidenze sperimentali dimostrano che problemi formalmente uguali ma descritti in un caso in termini di guadagni ed in un caso in termini di perdite danno origine a decisioni differenti (Tversky e Kahneman, 1981). Diversi studi hanno anche dimostrato che le persone pongono maggiore enfasi su risultati codificati come perdite piuttosto che su risultati codificati come vincite (Slovic, 1967 e 1987). Come detto in precedenza le persone preferiscono le alternative più rischiose quando sono di fronte a delle perdite ed è stato dimostrato che investitori che devono recuperare una perdita decidono di compiere investimenti più rischiosi (Shapira e Venezia, 2000). Olsen (1997b) ha utilizzato dei mercati simulati per dimostrare che la teoria del prospetto ben si adatta alla descrizione e comprensione dei comportamenti degli investitori. Questo suo studio ha dimostrato che gli investitori definiscono il rischio degli investimenti come il pericolo di ottenere dei risultati inferiori ad un obbiettivo prefissato che è utilizzato come punto di riferimento per valutare la resa degli investimenti fatti (un risultato simile è stato ottenuto da Olsen 1997a; si veda oltre). Anche la valutazione del rischio associato a differenti attività finanziarie è influenzata dal punto di riferimento o rendimento atteso stabilito dagli investitori per i loro investimenti. Olsen ha dimostrato che quando una decisione di investimento è descritta in termini di possibili guadagni le persone sono avverse al rischio mentre quando la stessa decisione è descritta in termini di possibili perdite gli investitori sono maggiormente propensi al rischio. Gli investitori infatti tendono a scegliere attività finanziarie con maggiore volatilità quando sono posti di fronte ad un contesto di possibili perdite. In questo caso infatti gli investitori si raffigurano la scelta di investimento in termini di perdita potenziale ed accettano una maggiore volatilità così da poter ottenere maggiori guadagni, tali da ripagarli per aver accettato il rischio di perdere. Viceversa essi scelgono attività finanziarie con bassa volatilità e quindi con ritorni più contenuti ma sicuri quando sono posti di fronte ad uno scenario di possibile guadagno. Infine dallo stesso studio è emerso che i consulenti finanziari hanno la tendenza a scegliere investimenti con diverso grado di rischio a seconda dell'orizzonte temporale con cui i clienti desiderano ottenere il rendimento prefissato; vengono scelti titoli con bassa volatilità quando l'orizzonte temporale è breve e titoli con volatilità più elevata quando l'orizzonte temporale è a lungo termine (Olsen, 1997a). Di per sé non si tratta di una strategia scorretta tuttavia i clienti hanno spesso una bassa tolleranza alla variabilità dell'andamento dei titoli. Perciò gli investitori individuali non sono particolarmente disposti ad investire su titoli più volatili e quindi più rischiosi solo perché il loro orizzonte temporale è a lungo termine.

Strategie cognitive sistematiche e decisioni di investimento

La psicologia della decisione ha dimostrato l'esistenza di una serie di strategie sistematiche che le persone utilizzano per risolvere i compiti decisionali. A volte queste strategie sono utilizzate per far fronte a situazioni di incertezza o scarsità di informazioni altre volte invece sono utilizzate per selezionare le informazioni rilevanti in ambienti il cui tasso informativo è molto elevato. Queste strategie cognitive sono state messe in relazione con diverse attività umane ed anche con le decisioni prese da individui esperti (si veda Rumiati e Bonini, 1996); non sorprende che anche le decisioni economiche siano influenzate da diversi tipi di strategie cognitive (Lopes 1994).

Euristica della disponibilità ed euristica dell'ancoraggio

La psicologia della decisione ha prodotto negli ultimi decenni un gran numero di prove riguardo alla difficoltà delle persone a gestire situazioni decisionali incerte o mal strutturate. Ormai si considera un fatto assodato che gli individui in situazioni di incertezza utilizzino le informazioni che sono più facilmente comprensibili, quelle che giungono da fonti che essi ritengono affidabili e quelle che sono percepite intuitivamente come corrette (Forgas, 1991). Inoltre in situazioni di incertezza gli individui sembrano porre maggiore attenzione sulle informazioni presentate esplicitamente anche quando queste appaiono meno diagnostiche ai fini della decisione (Hsee, 1998; Legrenzi, Girotto e Johnson-Laird., 1993). In pratica le persone quando risolvono un problema utilizzano soltanto le informazioni che sono presenti nel testo del problema stesso senza cercare di utilizzare quelle informazioni che pur non presenti nel testo possono essere inferite con facilità (informazioni implicite). L'uso di strategie euristiche volte ad organizzare lo spazio del problema o il recupero delle informazioni permette generalmente di essere efficaci, ma non sempre è così. Tali euristiche possono produrre in determinate circostanze delle decisioni sub-ottimali. Per quanto riguarda i mercati finanziari è stato riscontrato l'uso di due euristiche note da tempo agli psicologi della decisione: l'euristica della disponibilità e l'euristica dell'ancoraggio (Tversky e Kahneman, 1974). L'euristica della disponibilità è utilizzata quando nel fornire una stima riguardo al possibile accadere di eventi futuri le persone utilizzano la loro esperienza relativa all'accadimento di quegli eventi in passato. Tuttavia le informazioni che vengono recuperate dalla memoria non sono quelle con il potere informativo maggiore ma sono spesso quelle più vivide, sono cioè le informazioni alle quali l'individuo ha associato i connotati emotivi più forti. Eventi che si sono verificati più spesso nella vita di un individuo o che lo hanno impressionato maggiormente saranno giudicati come più probabili anche se in realtà non lo sono. Infatti eventi più vividi o maggiormente in risalto nei mass media sono giudicati più frequenti di quanto essi non siano in realtà. Per esempio le persone in media giudicano la frequenza degli incidenti aerei significativamente superiore rispetto al reale rapporto tra voli aerei senza incidenti e voli con incidenti. Nel caso dei mercati finanziari in particolare gli investitori pensano di ottenere guadagni migliori da quei titoli che rappresentano aziende ben gestite e senza debiti (Solt, 1989). Ad esempio in media gli investitori ritengono che le aziende che investono i loro soldi in programmi giudicati promettenti dagli analisti siano quelle che avranno minori problemi di bilancio e saranno meno coinvolte in azioni speculative. Perciò investono su queste aziende giudicando questi titoli meno volatili e quindi meno rischiosi. In realtà questa uguaglianza tra gestione delle aziende e rendimento dei titoli non è valida in assoluto poiché non sempre aziende con i conti in attivo hanno un rendimento superiore rispetto all'indice generale del mercato. Un altro esempio dell'uso dell'euristica della rappresentatività è dato dal lavoro di De Bondt (1992) che mostra come le previsioni a lungo termine eseguite dagli analisti di borsa tendono ad essere distorte in direzione dei titoli in quel momento più forti. Questo avviene anche se nell'arco di sei anni l'andamento dei titoli in crescita e di quelli in ribasso tende ad invertirsi (winner-loser effect; De Bondt e Thaler, 1987). In pratica quei titoli il cui valore è cresciuto nell'arco dei primi tre anni tendono ad avere un rendimento in flessione nei secondi tre anni mentre i titoli il cui valore è calato nei primi tre anni tendono ad avere un rendimento in rialzo nei secondi tre. L'euristica dell'ancoraggio si riferisce alla formazione di un giudizio di stima a partire da un valore di riferimento (anche un valore casuale). Questa euristica viene utilizzata dagli investitori quando, per decidere se un titolo crescerà in futuro, si avvalgono del prezzo del titolo in un determinato momento senza considerare la storia del titolo e la variabilità del suo prezzo nel passato (Mitra, 1995; Shefrin, 1999). Un titolo potrebbe avere un valore molto elevato in un certo momento ma non essere un investimento sicuro poiché in passato ha tenuto un andamento molto altalenante con forti crescite di valore seguite da altrettanto forti ribassi. Anche utilizzare informazioni relative all'andamento passato di un titolo per prevederne l'andamento futuro non è, in realtà, un comportamento razionale ma certamente permette una valutazione più accurata di quella che si ottiene considerando soltanto il valore delle azioni in un determinato momento.

Avversione al rischio

Secondo la teoria del prospetto di Kahneman e Tversky (1979) le persone mostrano avversione al rischio quando devono scegliere tra una vincita sicura ed una che è solo probabile, anche quando quest'ultima ha un'utilità attesa maggiore di quella della vincita sicura. Per esempio le persone preferiscono vincere con certezza la somma di 900€ piuttosto che accettare una scommessa che offre il 70% di probabilità di vincere 1500€ e il 30% di probabilità di non vincere nulla. Samuelson e Zackhauser (1988) hanno dimostrato che l'avversione al rischio induce le persone a cercare di non spostarsi dallo status quo. Ad un primo gruppo di partecipanti era presentato un ipotetico compito decisionale descritto in termini "neutrali". A costoro veniva detto che avevano ereditato un'ingente somma e successivamente veniva chiesto di decidere come investirla. Ad un secondo gruppo veniva presentato lo stesso compito decisionale ma in questo caso veniva detto che la somma ereditata era già stata investita, quindi dovevano decidere se modificare o meno la modalità di investimento della somma ereditata. I risultati mostrarono che i partecipanti del primo gruppo decidevano liberamente la modalità di investimento della somma ereditata, mentre la maggioranza del secondo gruppo preferiva mantenere lo status quo piuttosto che rischiare una strategia di investimento differente che non garantiva la certezza di essere migliore. Comportamenti coerenti con il concetto di avversione si verificano anche nei mercati finanziari. Un fenomeno che può essere spiegato tramite questo meccanismo è l'atteggiamento degli investitori a mantenere i titoli in perdita troppo a lungo ed a vendere quelli in fase di crescita troppo presto (questo fenomeno è stato chiamato disposition effect ed è stato inizialmente messo in evidenza da Shefrin e Statman, 1985). Recentemente Odean (1998) ha dimostrato che questa tendenza si verifica costantemente sui mercati se si eccettua il mese di dicembre di ogni anno; in dicembre infatti gli investitori sono soliti vendere sia i titoli che stanno guadagnando sia quelli che sono in perdita. Ciò avviene perché le perdite realizzate alla fine dell'anno autorizzano gli investitori a chiedere degli sgravi fiscali. Il disposition effect è stato riscontrato anche nelle decisioni di vendita degli investitori professionali anche se in questo gruppo sembra meno marcato (Shapira e Venezia, 2000). Se le persone sono avverse al rischio nel caso di possibili vincite, esse sono invece propense all'assunzione di rischi nel caso di possibili perdite. Ciò vuol dire che davanti ad una scelta tra una perdita sicura di 900€ ed una scommessa che offre la possibilità di perdere 1500€ con il 70% di probabilità e di non perdere nulla con il 30% di probabilità in media le persone accettano la scommessa. Le persone preferiscono assumersi dei rischi maggiori se devono recuperare una situazione negativa poiché rischiando si può cercare di ridurre o di evitare le perdite. Risulta più difficile accettare una perdita certa poiché in questo caso non si può posticipare il dolore provocato dalla perdita stessa e non si può nemmeno provare a modificare la situazione cosa che è invece possibile fare accettando una scommessa nonostante essa possa provocare una perdita maggiore. Shapira e Venezia (2000) hanno mostrato che effettivamente gli investitori professionali si comportano diversamente a seconda di come hanno chiuso le contrattazioni nel giorno precedente. Gli investitori professionali operano un numero elevato di scambi se la perdita con cui hanno chiuso le contrattazioni nel giorno precedente è stata molto elevata. Allo stesso modo coloro che a poche ore dalla chiusura della seduta stanno registrando delle perdite tendono ad essere più attivi, sono cioè coinvolti in più transazioni rispetto a chi ha guadagnato o mantenuto lo status quo durante il resto della giornata.

Ottimismo ingiustificato e rendimento degli investimenti

Gli investitori a volte mostrano un'eccessiva fiducia nelle proprie abilità (optimistic bias); in molte attività le persone si giudicano più brave della media anche quando ciò non è vero. Ad esempio la maggioranza degli automobilisti ritiene di essere un guidatore migliore della media. Uno studio di Fenton O'Creevy, Nicholson, Soane e William (1998) mostra che nei mercati finanziari l'eccessiva fiducia nelle proprie capacità porta ad ottenere risultati più scarsi. Infatti chi ha un più elevato livello di fiducia in sé stesso ottiene profitti inferiori. Lo studio di questi ricercatori mostra anche che gli investitori più sicuri di sé tendono a modificare di frequente il loro portafoglio, forse spinti dalla loro impressione di essere più capaci degli altri. Coerentemente con questi risultati anche Barber e Odean (2000) attribuiscono la tendenza degli investitori a modificare i loro portafogli all'eccessiva sicurezza in sé stessi. Inoltre chi modifica più spesso il proprio portafoglio tende ad avere dei ritorni inferiori dal momento che ogni transazione comporta anche dei costi. Questi investitori ottengono in media un ritorno lordo simile a quello di chi mantiene sostanzialmente inalterato il proprio portafoglio tuttavia il loro guadagno netto è significativamente inferiore avendo costi più elevati da scontare. Olsen (2000) ritiene che l'eccessiva sicurezza nelle proprie capacità sia una strategia di ragionamento che si è sviluppata per ragioni evolutive e di adattamento alla vita quotidiana. In primo luogo secondo questo autore ci sarebbe un'asimmetria tra emozioni positive e negative per cui la sicurezza in sé associata alla soppressione di emozioni negative permetterebbe di affrontare anche situazioni ambientali molto critiche mantenendo un buon livello di motivazione. In secondo luogo le persone non sarebbero in grado di percepire le covariazioni tra diverse variabili; perciò l'accumularsi di differenti informazioni alternative tra loro viene giudicato come un serie di prove differenti tutte favorevoli ad un certo dato e non come una serie di evidenze interscambiabili.

Strategie confermative nella valutazione dell'andamento futuro degli investimenti

Le persone a volte agiscono cercando di confermare le loro ipotesi sull'andamento futuro delle borse. In realtà sarebbe molto meglio andare alla ricerca di informazioni che possono falsificare le ipotesi iniziali. Infatti solo in assenza di informazioni contrarie rispetto alle proprie opinioni si può ragionevolmente sostenere di avere ragione. Un esperimento condotto da Forsythe, Nelson, Neumann e Wright (1992) che ha utilizzato dei mercati sperimentali ha suggerito che gli investitori che utilizzano una strategia non confermativa ottengono i profitti migliori. Inoltre questi investitori hanno una minore tendenza al falso consenso, cioè a ritenere che la maggioranza delle persone abbia le loro stesse opinioni. Va detto che le strategie di tipo confermativo potrebbero essere meno utilizzate dagli investitori professionali poiché la loro expertise potrebbe averli condotti a comprendere l'inadeguatezza di questo tipo di ragionamento.

Contabilità mentale

Una nozione che si è rivelata utile per comprendere meglio le decisioni di investimento è quella di contabilità mentale (mental account; Thaler, 1991; Shefrin e Thaler, 1992). La contabilità mentale riguarda il modo in cui le persone si rappresentano le loro azioni in termini di guadagno e di perdita. In alcuni casi le persone possono utilizzare un solo conto mentale generale che comprende tutte le operazioni compiute in un certo periodo. In questo caso si parla di conti menali integrati che rappresentano la differenza tra ciò che l'individuo ha guadagnato e perso. In altre situazioni le persone utilizzano conti mentali separati rappresentandosi per esempio i guadagni e le perdite in due conti mentali differenti. In questo caso l'individuo valuterà le strategie per ridurre le perdite in modo indipendente da quelle per incrementare i guadagni. Secondo Thaler (1999) la prospettiva di chiudere un conto in perdita e di dover dichiarare il mancato guadagno è vissuta in modo "doloroso" dagli investitori e per questo motivo essi tendono a non vendere titoli che stanno perdendo valore. Ciò potrebbe, per esempio, spiegare perché le persone tendono a vendere troppo presto i titoli in rialzo e a tenere troppo a lungo i titoli in ribasso (Shefrin e Statman, 1985). Benartzi e Thaler (2001) hanno studiato la relazione tra il modo in cui gli investitori decidono di allocare i risparmi in un portafoglio di investimento e la loro tendenza ad utilizzare una contabilità mentale di tipo separato per le diverse opzioni possibili per la creazione del portafoglio. Ai partecipanti al loro esperimento venivano proposte diverse opzioni tra cui decidere come allocare i risparmi da investire. Si osservò che quando sono disponibili due fondi di cui il primo investito in azioni ed il secondo investito in bond le persone investono metà del loro patrimonio nel primo fondo e metà nel secondo. Tuttavia se ai due fondi iniziali si aggiunge un terzo fondo investito in azioni si osserva che le persone dividono equamente i loro investimenti tra i tre fondi costruendo così un portafoglio costituito per due terzi da azioni e per un terzo da bond. Si può supporre che gli investitori valutano le tre opzioni separatamente e non come parti di uno stesso portafoglio. Tuttavia se con due soli fondi disponibili si investe metà del patrimonio sul fondo azionario e l'altra metà del patrimonio in obbligazioni allora anche nelle altre situazioni si dovrebbe ottenere un portafoglio costituito al cinquanta per cento da azioni ed al cinquanta per cento da bond indipendentemente dal numero di opzioni che costituiscono il portafoglio dell'investitore. Questi risultai si configurano come un evidenza della scarsa capacità degli investitori individuali ad interpretare il concetto di diversificazione del portafoglio.

Comportamenti reattivi

De Bondt e Thaler (1985) hanno sottolineato come gli investitori nelle loro strategie di investimento tendano ad essere a volte troppo conservativi (under reaction) e altre volte troppo reattivi (overreaction). Il conservatorismo viene imputato alla tendenza degli investitori a seguire strategie di conferma delle loro opinioni sugli andamenti futuri del mercato. Queste strategie portano gli investitori a diminuire l'attenzione verso le informazioni che contraddicono le loro opinioni e dunque ad un maggiore conservatorismo nelle scelte di investimento. Le reazioni eccessive si configurano invece come un tentativo di ristabilire una condizione di "sicurezza" di fronte ad un numero elevato e non eludibile di informazioni contrarie alle proprie opinioni. A conferma di ciò si osserva che spesso gli investitori hanno l'attitudine a sposare le tendenze del mercato, cioè a comprare quando il mercato è in fase di rialzo e a vendere quando il mercato è in ribasso (Hilton, 2001). A tal proposito De Bondt (1998) ha suggerito come da un punto di vista speculativo potrebbe risultare vantaggiosa una strategia che va in direzione opposta rispetto alle tendenze prevalenti nel mercato. Tuttavia una simile strategia ha poca probabilità di essere impiegata a causa della avversione al rischio degli investitori. Infatti essa impone di comprare quando il mercato è in ribasso e la maggioranza degli altri investitori sta vendendo e di sopportare una fase in cui i titoli appena acquistati continuano a perdere valore. Difficilmente un investitore riesce a superare questa prima fase anche tenuto conto del fatto che gli investitori faticano ad accettare che un titolo sul quale hanno investito sia in perdita nonostante tutti gli altri titoli del portafoglio riescano a compensare la perdita (Thaler, 1992). Questo fenomeno è dovuto al tipo di contabilità mentale che le persone utilizzano; in questo caso l'investitore utilizza più conti mentali separati per gli investimenti in attivo e per quelli in passivo ed è quindi incapace di valutare l'andamento del portafoglio nel suo complesso.

Equity premium puzzle

L'equity premium puzzle (l'enigma del premio associato ai titoli azionari) è una formula introdotta da Mehra e Prescott (1985) per sottolineare il fatto che gli investitori giudicano eccessivamente rischiosi gli investimenti sui titoli azionari. Il giudizio degli investitori si basa sul fatto che il valore dei titoli azionari è molto variabile soprattutto se confrontato con altre tipologie di investimento più sicure (per esempio delle obbligazioni) tuttavia le azioni permettono di guadagnare decisamente di più sul lungo periodo. Si parla di premio associato alle azioni proprio perché il maggior guadagno che assicurano gli investimenti azionari sembra essere un riconoscimento verso l'investitore che ha deciso di fronteggiare l'elevata variabilità di rendimento del titolo azionario. L'interesse verso questo fenomeno nasce dalla constatazione che se si considerano gli assunti della teoria economica gli investitori dovrebbero essere straordinariamente avversi al rischio per chiedere un simile premio a fronte di un investimento in azioni. La conclusione è che le azioni sembrerebbero decisamente più vantaggiose di qualsiasi altra forma di investimento ma essendo considerate più rischiose dagli investitori sono anche destinate ad un ruolo minoritario nei portafogli di investimento. Per spiegare questa contraddizione Benartzi e Thaler (1995) hanno sostenuto che gli investitori non sarebbero avversi all'elevata variabilità del rendimento del titolo azionario ma alla possibilità di registrare un perdita, in altri termini gli investitori sarebbero principalmente preoccupati dalla possibilità di scoprire che un titolo è in perdita nel momento in cui decidono di verificare l'andamento dei loro investimenti. Utilizzando una simulazione Benartzi e Thaler hanno determinato che un investitore medio verifica l'andamento del suo portafoglio almeno una volta ogni tredici mesi, quindi più o meno una volta all'anno. Tuttavia nell'arco di un singolo anno capita di frequente che le azioni abbiano un rendimento inferiore ai bond anche se poi quando crescono di valore sono in grado di recuperare la perdita e superare il rendimento assicurato dai bond. Ma se gli investitori valutano il rendimento dei loro investimenti ogni anno e se sono avversi alla perdita allora è comprensibile che essi desiderino un premio molto ampio per aver affrontato il rischio di scoprire che i loro investimenti sono in rosso. In pratica coloro che valutano i propri investimenti ogni anno modificano ogni dodici mesi il loro punto di riferimento (status quo) cosa che impedisce loro di giudicare gli investimenti con un'ottica globale di lungo periodo. Ciò significa anche che gli investitori sono più suscettibili all'oscillazione del valore dei titoli che all'incertezza collegata alla possibilità di ottenere i risultati a termine prefissati.

Percezione del rischio collegato agli investimenti finanziari

Il concetto di rischio è da sempre associato al comportamento di chi investe. Va però detto che il rischio viene analizzato quasi solo da una prospettiva economica ovvero come dato calcolabile da tenere in considerazione al momento della decisione di investire. In genere gli economisti definiscono il rischio degli investimenti in base al grado di variabilità del valore atteso di un'attività finanziaria e sottolineano l'importanza di tenere ben presente il profilo di rischio/rendimento delle attività sulle quali si decide di investire. Tuttavia diversi studi condotti in psicologia (Mertz, Slovic e Purchase, 1998; Slovic, 2000) hanno dimostrato che gli individui raramente concepiscono il rischio come qualcosa di oggettivo e misurabile. Inoltre le persone hanno la tendenza a evitare le alternative più rischiose cosa che può contrastare con i loro obbiettivi di investimento dal momento che la relazione rischio/rendimento afferma che maggiore è il rischio inteso come variabilità del rendimento di un'attività finanziaria e maggiore sarà il rendimento nel lungo periodo. Olsen (1997a) ha dimostrato che la percezione del rischio in campo finanziario può essere ricondotta a quattro attributi. Olsen ha trovato che la valutazione del rischio legato agli investimenti viene eseguita basandosi principalmente su: la possibilità di ottenere una perdita ingente; la possibilità di ottenere un rendimento inferiore agli obbiettivi iniziali; l'abilità di gestire le perdite; il livello di consapevolezza finanziaria dell'investitore. Grazie a questi quattro attributi Olsen è riuscito a spiegare il 77% delle variazioni di rendimento di dieci diversi asset nel periodo 1965- 1990; utilizzando la deviazione standard dei rendimenti degli stessi dieci asset Olsen è riuscito a spiegare solo il 58% delle variazioni di rendimento nello stesso periodo. Olsen ha anche affermato che le differenze tra individui relative alla percezione del rischio degli investimenti sembrano dipendere in particolar modo da quanto le persone si sentono capaci di gestire le eventuali perdite. Anche i manager affermano che la capacità di controllare o ridurre il rischio è la caratteristica più importante nello svolgimento del proprio lavoro, in particolare quando devono prendere importanti decisioni (Shapira, 1995). Ci sono diversi dati che sottolineano come la valutazione del rischio di un investimento non sia effettuata dagli individui in modo oggettivo. In molti casi nemmeno gli esperti tengono in reale considerazione gli indici finanziari di rischio delle diverse attività finanziarie. Anche gli analisti sono influenzati dal grado di familiarità con l'informazione: infatti considerano meno rischiosi i titoli scambiati negli asset finanziari più familiari rispetto a titoli appartenenti agli asset meno familiari (Ganzach, 1999). Inoltre nella maggioranza dei casi gli investitori hanno la tendenza ad investire gran parte del proprio patrimonio nel mercato finanziario del proprio paese piuttosto che sui mercati dei paesi esteri (home country bias; Kilka e Martin, 2000; per una rassegna si veda Uppal, 1992). La relazione rischio/rendimento è giudicata in modo differente a seconda delle situazioni Ganzach (2000); le persone non considerano sempre l'equazione che ad un maggiore rischio corrisponde un maggiore rendimento. Quando gli individui devono valutare titoli appartenenti ad asset che conoscono poco allora forniscono dei giudizi relativi al rischio e al rendimento che sono negativamente correlati tra loro; in pratica in queste situazioni le persone si aspettano un rendimento maggiore quando il rischio è minore. L'opposto si verifica quando viene chiesto di valutare alternative di investimento appartenenti ad asset che l'investitore conosce bene. In questo caso gli investitori si attendono un rendimento maggiore dai titoli che valutano più rischiosi. Questi risultati vanno nella stessa direzione di quelli ottenuti da Shefrin e Statman (1999) i quali hanno sottolineato che i titoli non sono valutati in termini di relazione tra il rischio e il rendimento ma sulla base dell'atteggiamento nei confronti dei titoli stessi. Si prevedono risultati migliori per i titoli che si conoscono meglio e che si considerano generalmente come "buoni titoli". Questi dati sono una conferma dell'ipotesi che le persone prendono le loro decisioni sulla base degli atteggiamenti nei confronti degli stimoli e in particolare sulla base della valutazione affettiva positiva o negativa che associano a questi atteggiamenti (Kahneman, Ritov e Schkade, 1999). MacGegor, Slovic, Berry e Evensky (1999) hanno tuttavia ottenuto dei risultati che si pongono in contraddizione con quanto trovato da Ganzach (1999). La relazione rischio/rendimento è uno dei fattori che nello studio di MacGregor et. al. influenza maggiormente la decisione di investire anche se c'è una asimmetria nel modo in cui il rischio e il rendimento influenzano questa decisione. Le persone sembrerebbero più invogliate ad investire in base al rendimento prospettato piuttosto che in base al grado di rischio connaturato ad una certa attività finanziaria. Questo dato è stato spiegato adducendo che la valutazione di stimoli di tipo finanziario sarebbe fortemente influenzata da processi di carattere affettivo. MacGregor, Slovic, Dreman e Berry (2000), ad esempio, hanno chiesto ad alcuni studenti di un corso di economia di generare le immagini mentali associate a ciascun nome identificante una serie di aziende appartenenti a gruppi di industrie e società quotate in borsa (per esempio industrie informatiche, industrie farmaceutiche, società di telefonia) e poi valutarle su una scala ancorata agli estremi con le etichette: positivo - negativo. La misurazione della componente affettiva associata a ciascun settore è stata invece indagata attraverso un differenziale semantico le cui dimensioni erano: buono/cattivo, eccitante, pregiato, forte, attivo e rischioso. È stato poi chiesto ai partecipanti il giudizio relativo al rendimento di comparto industriale nell'anno precedente alla ricerca e per l'anno successivo e l'intenzione di acquistare azioni di aziende appartenenti ai diversi gruppi per le quali era stata avviata un'offerta pubblica d'acquisto. I risultati indicano che immagini mentali e componenti affettive sono utili nel giudicare il rendimento passato ma non quello futuro. Una elevata correlazione tra valutazione delle immagini mentali, componenti affettive e decisioni di investimento è stata ottenuta riguardo alla disponibilità ad acquistare azioni di aziende per le quali è stata avviata un'offerta pubblica di acquisto. Tuttavia il risultato di questa ricerca resta valido solo per situazioni in cui le informazioni a disposizione dell'investitore sono molto poche. In questi casi infatti si può supporre che gli investitori si basino sulle loro valutazioni soggettive non avendo a disposizione informazioni tecniche sufficienti. MacGregor e colleghi suggeriscono però che anche in condizioni in cui la quantità di informazioni è molto elevata le persone potrebbero affidarsi alle immagini mentali ed alle relative componenti affettive associate ad un certo titolo. Infatti in situazioni in cui sono disponibili molte informazioni le persone tendono ad utilizzare strategie volte a permettere di selezionare un sottoinsieme di informazioni da utilizzare per scegliere su quale attività finanziaria investire. Una di queste strategie potrebbe comportare proprio l'utilizzo delle immagini mentali che sono in grado di offrire un punto di riferimento in base al quale l'investitore può valutare in modo soggettivo quali informazioni sono rilevanti per la sua scelta. La percezione del rischio legato agli investimenti sembra essere molto diversa se il giudizio è fornito da un investitore di sesso femminile piuttosto che da un investitore di sesso maschile. Diversi studi hanno sottolineato che le donne sembrano essere maggiormente avverse al rischio rispetto agli uomini quando si tratta di investire in borsa. Sunden e Surette (1998) hanno dimostrato che le donne tendono ad investire la maggioranza del loro patrimonio in asset dal rendimento poco variabile. Anche l'assunzione di rischi negli investimenti è influenzata dal genere. Olsen e Cox (2001) infatti hanno mostrato che l'assunzione di rischi è significativamente diversa tra investitori professionali di sesso maschile e femminile. Olsen (1997a) ha dimostrato che in generale gli investitori professionali sono più attenti ad indici di variabilità relativi ad un possibile andamento negativo piuttosto che ad indici relativi ad un possibile andamento positivo dei titoli. Olsen e Cox hanno invece sottolineato come questo atteggiamento sia più marcato tra le donne che tra gli uomini. Coerentemente, le donne tendono a giudicare come più rischiose le tipologie di investimento per le quali è maggiore la possibilità di un calo di rendimento, cioè di incorrere in una perdita; diversamente gli uomini giudicano più rischiose le tipologie di investimento per le quali l'oscillazione del valore è maggiore.

Comportamenti collettivi

Tendenza a conformarsi agli andamenti del mercato

L'influenza dei comportamenti e delle opinioni del gruppo sui comportamenti ed opinioni del singolo è molto forte, soprattutto quando la situazione decisionale è caratterizzata da incertezza (Ghosh e Ray, 1997). Questo tipo di comportamento viene paragonato a quello degli animali che si muovono in branco, ovvero l'herding behavior (Smith, Suchanek e Williams, 1988; De Bondt e Forbes, 1999; Prechter, 2001). In effetti è diffusa la convinzione che la maggioranza degli investitori tenda a conformarsi all'andamento del mercato mettendo in atto delle strategie involontarie del comportamento in direzione delle previsioni relative agli andamenti futuri del mercato. Il primo studio rilevante sull'herding behavior è quello di Smith, Suchanek e Williams (1988) in cui sono state condotte sei simulazioni del mercato azionario. Ogni soggetto disponeva di informazioni "ideali" riguardo al mercato, ma nonostante ciò i mercati simulati manifestarono un andamento instabile caratterizzato da continui bolle e ribassi. Se si pensa che le persone possedevano informazioni complete riguardo al mercato simulato la tendenza all'instabilità dei mercati reali sembra inevitabile così come la mancata massimizzazione dell'utilità da parte degli investitori. La ciclicità di rialzi e ribassi è considerata un effetto tipico dell'abitudine degli investitori a seguire l'andamento corrente del mercato. Infatti questo tipo di andamento rispecchia l'uso iniziale da parte degli investitori di strategie conservative (under reaction) seguite da comportamenti di reazione improvvisa (overreaction). Non si spiega altrimenti come mai individui con informazioni complete non mettessero in atto delle strategie di investimento maggiormente speculative. Va anche detto però che i partecipanti dell'esperimento di Smith e colleghi erano individui poco esperti di investimento; analisti esperti sono ovviamente più preparati ed abituati ad adottare strategie speculative anche se in realtà il mercato è comunque soggetto a continui rialzi e ribassi dovuti all'elevato numero di attori coinvolti ed all'incompletezza delle informazioni possedute da ciascun investitore. Olsen (1996) ha valutato quattromila previsioni di rendimento formulate da diversi analisti ed ha concluso che anche le stime degli esperti tendono a conformarsi all'andamento dei titoli sul mercato. Se un titolo è in crescita e gode dei favori degli investitori, le previsioni riguardo al suo andamento futuro saranno più ottimistiche rispetto alle previsioni formulate per un titolo in ribasso. Come ha sottolineato Prechter (2001) la conformità ai comportamenti del gruppo è controproducente per chi investe nei mercati finanziari. Secondo Prechter la maggioranza degli investitori acquisisce gran parte delle conoscenze relative ai mercati finanziari da altre persone, dai giornali, dalla televisione o dagli analisti senza cercare di verificarne l'esattezza. È come se le persone pensassero che non c'è motivo di controllare le informazioni che ricevono dal momento che le ottengono da esperti o supposti tali. Tutto ciò fa sì che la maggioranza degli investitori risulti influenzata in modo inconsapevole da delle informazioni esterne rendendo il comportamento del mercato differente dalla somma dei comportamenti individuali. Il mercato dunque sarebbe dotato di un suo comportamento che emerge dalla tendenza degli investitori a conformarsi ai segnali che giungono dall'ambiente, cioè alle decisioni di investimento degli altri investitori ed alle previsioni dagli analisti.

Teorie del "contagio dei pensieri"

Una spiegazione di come si viene a creare un "pensiero di gruppo" all'interno dei mercati finanziari può essere fornita dalle teorie del contagio dei pensieri (thought contagion theories). Tali teorie sembrano particolarmente utili a spiegare come i singoli investitori giungono a decidere le loro operazioni di investimento seguendo l'andamento del momento. Le teorie del contagio dei pensieri sono state introdotte in psicologia prendendo spunto dalla teoria matematica della diffusione delle malattie che viene utilizzata dagli epidemiologi per prevedere il corso delle infezioni all'interno di una popolazione (Bayley, 1957), anche se l'uso del concetto di contagio dei pensieri in psicologia può essere fatto risalire a Le Bon (1895). Queste teorie sono state utilizzate per analizzare la trasmissione delle credenze e delle informazioni all'interno dei mercati azionari (Lynch, 1998 e 2000; Shiller, 2000). Secondo Lynch (2000) il contagio dei pensieri è un processo particolarmente adatto a spiegare la maggior parte delle credenze e delle opinioni che le persone si formano riguardo al mercato finanziario. Proprio queste opinioni producono come conseguenza un effetto irrazionale sul modo di fissare i prezzi dei titoli azionari. La propagazione del contagio dei pensieri sembra dipendere da tre fattori: il tasso di trasmissione di un pensiero, idea o credenza; la ricettività; la longevità (Lynch, 1998). Il tasso di trasmissione di una credenza è la misura di quanto liberamente e quanto spesso coloro che detengono quella credenza la comunicano agli altri o la mettono in atto attraverso il loro comportamento che può poi diventare un mezzo di comunicazione indiretto. La recettività si riferisce a quanto facilmente chi non possiede quella credenza è disposto ad accettarla. Come è stato sottolineato in precedenza all'interno dei mercati finanziari le persone si creano delle opinioni sulla base di ciò che dicono i mezzi di informazione e gli analisti che godono di elevata fiducia; le persone sono quindi molto recettive a ciò che leggono sui giornali, sentono dalla televisione o vedono su internet. La longevità indica per quanto tempo coloro che possiedono una certa opinione continuano a comunicarla a persone che non sono state ancora contagiate. Shiller (2000) ha sottolineato come i sociologi abbiano già utilizzato le teorie del contagio dei pensieri per prevedere ad esempio il corso della trasmissione delle idee per passaparola. Tuttavia sempre Shiller ha puntualizzato che a tutt'oggi le teorie epidemiche sono poco utilizzate per studiare la trasmissione delle idee e delle opinioni poiché nella comunicazione il tasso di trasmissione di errori è molto superiore rispetto a quanto si verifica nella trasmissione di un virus. Ciò significa che nel trasmettere delle idee ci sono elevate probabilità che tali idee subiscano delle modificazioni tra un passaggio e l'altro. Anche nei processi di comunicazione tuttavia esistono mezzi di trasmissione del messaggio molto fedeli; un esempio è quello delle e-mail che permettono di spedire un messaggio a più destinatari contemporaneamente o di inoltrarlo senza doverlo riscrivere. Si può pensare di elaborare dei modelli epidemici meno rigidi rispetto a quelli usati per studiare la diffusione dei virus. Infatti un'opinione può influenzare l'andamento del mercato azionario anche senza arrivare ad influenzare ogni singolo individuo. Potrebbe essere sufficiente che un particolare dato o una particolare opinione si diffonda all'interno di alcuni gruppi più influenti ingenerando un fenomeno a cascata che arriva a coinvolgere anche gli investitori individuali. Questo tipo di fenomeni comunicativi vengono studiati utilizzando le ipotesi formulate dalla teoria delle cascate informative (per un'applicazione ai mercati finanziari dell'informational cascade theory si veda Welch, 1992).

Conclusioni e sviluppi futuri

La psicologia dei mercati finanziari sembra aver raggiunto una maturità sufficiente per poter affiancare l'economia nel tentare di raggiungere una migliore comprensione delle dinamiche di comportamento degli attori che operano nei mercati finanziari. In effetti la stessa economia finanziaria sta dimostrando un sempre maggiore interesse per le variabili di tipo psicologico. Come si è potuto vedere è ormai vasta la letteratura relativa alle strategie cognitive sistematiche degli investitori ed anche gli studi di matrice psicologica relativi alla percezione del rischio legato agli investimenti sono sempre più numerosi. Tuttavia la psicologia dei mercati finanziari deve riuscire ad affrontare in modo più convincente il tema della diffusione delle informazioni e delle opinioni all'interno del mondo finanziario. Si tratta di un tema di primaria importanza dal momento che frequentemente i mercati finanziari danno l'impressione di essere guidati da un comportamento di tipo collettivo. Anche le componenti di tipo affettivo ed emotivo dovranno essere prese in considerazione maggiormente nel prossimo futuro. La letteratura relativa all'influenza delle emozioni sui processi decisionali ha subito un forte impulso negli ultimi quindici anni ed ora è il momento di cominciare a testare in aree specifiche dell'attività umana la validità delle ipotesi che sono state formulate. I mercati finanziari si configurano come una delle aree in cui è maggiore la connotazione emotiva delle decisioni a causa della forte incertezza che li contraddistingue e dell'importanza ricoperta dalle decisioni di investimento per il futuro degli investitori stessi. Le variabili affettive implicate nelle decisioni di investimento potrebbero utilmente spiegare le cause di alcune strategie cognitive mettendo in evidenza la logicità e la funzione adattiva del ragionamento umano. In fine non vanno dimenticati gli studi sulle euristiche e sulle strategie cognitive. Si tratta del più vasto settore di applicazione della psicologia ai mercati finanziari e la sua utilità è quella di spiegare il modo in cui le persone si rappresentano ed interpretano le dinamiche di tipo finanziario. Riguardo allo studio delle strategie cognitive sembra necessaria un'azione di sistematizzazione dei molti dati presenti in letteratura in modo da ottenere un quadro di riferimento più strutturato in grado di indirizzare al meglio le ricerche future. Particolare ringraziamento ai colleghi di perfomancetrading.it e finanzacomportamentale.it da cui sono stati tratti gli articoli precedenti

 

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